Materiale tratto dal sito ufficiale del Comune di Nicolosi

Perchè Nicolosi ?

(La scritta "SUBRIDENS OCELLUS CIVITAS FERVIDO MONTIS IGNE FACTA " contornata da ramoscelli di ginestra, il primo fiore della lava, orna lo stemma ed il gonfalone municipale.Significa: "CITTADINA RESA DAL FERVIDO FUOCO DEL MONTE UNA GEMMA SPLENDENTE ".)
Non è possibile accertarlo in modo assoluto perché non ci è stata tramandata nessuna documentazione in proposito.
Secondo l'abate D'amico il nome è da collegarsi al monastero: S.Nicola = NICOLOSI ; il Gemmellaro, invece, ritiene che il nome sia da collegare al monte vicino dove stabilirono la loro fissa dimora i primi abitanti; potrebbe essere anche accettata l'ipotesi che il primo nucleo di famiglie fosse quello dei Nicolosi (cognome peraltro molto comune nel paese ) visto che in alcuni atti si rileva "la Contrada di li Nicolosi".

Se il toponimo di Nicolosi si fa risalire al nome Nicola o Nicolò, sia esso legato al monte o al monastero, è chiaramente ricollegabile al culto per i Santi della Chiesa Orientale, quali S. Barbara, S. Giorgio, S. Biagio ed appunto S. Nicola che si diffuse in Sicilia al tempo della dominazione bizantina. Sicuramente a tale diffusione contribuirono i monaci basiliani, le cui comunità fiorirono nei vari monasteri, sorti soprattutto nella parte orientale della nostra isola.
Se si predilige l'idea che il nome derivi dal primo nucleo abitativo, può essere riferita una documentazione. Questa denominazione, infatti, appare nel 1589 in un giuramento relativo alla eruzione del 1536 fatta da Thomas Caruso Nardi de Contrada di Li Nicolosi, come sottoscrive lo stesso.
Il borgo si formò vicino al Monastero lungo l'antica trazzera che collegava Paternò e l'entroterra agricolo con Acireale ed il mare; in seguito si sviluppò verso Sud intorno alla Madrice ed alle altre chiese che si andavano erigendo, finché si costituirono tre quartieri: Settentrionale o del Piano - Centrale o della Chiesa e Meridionale denominato la Guardia.

Nicolosi dunque, come centro urbano, non si formò secondo un disegno urbanistico ma secondo un processo di concentrazione e di accrescimento elementare, cioè edilizio (attorno alla Chiesa) e stradale (lungo la via di scambio).

Il Monastero e il Paese

 

DALLE VICENDE LONTANE AL PRESENTE

Monastero e Paese

Sicuramente anche nel territorio dove poi sarebbe sorto il nostro paese, in periodo arabo, vennero realizzate trazzere che resero più accessibile l'accesso al vulcano, ma fu la politica normanna che portò, d'accordo con la Chiesa romana, alla creazione di monasteri benedettini sulle pendici del vulcano. E' certo comunque che nel XII secolo nel nostro territorio esisteva solo una chiesetta ed un ospizio per i monaci infermi e che, per donazione, con le vigne e le terre circostanti, il tutto entrò a far parte del monastero di San Leone, mentre più tardi, nel 1205, la zona fu unita al monastero di Santa Maria di Licodia come grangia.

Rispettando la volontà espressa da Federico II d'Aragona che avrebbe voluto, in un luogo tanto bello e salubre, un monastero, Marziale vescovo di Catania ne ordinò la costruzione presso l'antico ospizio, sotto la guida di un temporaneo priore.

Era il 1359 e da quel momento iniziò il graduale predominio del Monastero di S. NICOLA all'ARENA (L'appellativo che caratterizza il nome del Monastero può trovarsi scritto " la Rena ", " l'Arena ", " all'Arena " ed è sicuramente legato alla natura geologica del terreno su cui sorge : terreno ricco di terra sabbiosa = RENA, in contrasto con le rocce laviche = SCIARE. In un documento del 1589 relativo all'eruzione del 1536 si trova anche l'appellativo " la Ruina ": in tal caso è da relazionarsi alla eruzione che distrusse totalmente il monastero di San Leone e bruciò i poderi dei villaggi di Nicolosi e di Mompilieri. Ed ancora il Carrera usa per il Monastero di Nicolosi l'espressione " S. Nicolò all'Arena detto il Vecchio " per distinguerlo da quello di Catania che porta lo stesso nome e che era stato inaugurato nel 1578. La relazione del Carrera risale al 1639.)

Benché già prima di tale data attorno all'ospizio si fossero insediate famiglie di pastori e di contadini, esse non costituivano un vero casale; fu invece con la trasformazione del Monastero in sede abbaziale che si rese necessaria una concentrazione stabile di personale.

Siamo nel XIV secolo.

Il Paese fino al 1669

 

Fin dal suo nascere, però, a causa della sua ubicazione sulle pendici del vulcano, NICOLOSI sembrò destinato a mille sventure: terremoti ed eruzioni... Nonostante ciò, frequenti erano nel luogo le visite della regina Eleonora, moglie di Federico II d'Aragona e, più tardi, della regina Bianca di Navarra, moglie di re Martino che soggiornò a lungo nel monastero. Proprio grazie al coraggio della regina Bianca gli abitanti non abbandonarono il paese nel corso dell'eruzione del 1408; non meno minacciosa e spaventosa dovette essere l'eruzione del 1444. Comunque il borgo di NICOLOSI cresceva d'importanza al punto che, nel 1447 divenne feudo del Principe di Paternò e fu amministrato da suoi procuratori che risiedevano a Malpasso. (Questo è quanto riporta S. Mirone nel libro " Monografia Storica dei Comuni di Nicolosi, Trecastagni, Pedara e Viagrande " (tip. Coco, Catania,1875) come notizie riferite da Giuseppe Gemmellaro. Certo è che ancora nel 1747, come risulta in " Sicilia Nobile " di F. Villabianca " al principe di Paternò erano aggregati i casali e le terre di Belpasso, Nicolosi, Stella Aragona e Camporotondo ". In un certo senso si può dire che tale dipendenza durò fino al XIX sec. )

Dopo le eruzioni del 1536 e del 1537 ed il terremoto del 1542 mentre i monaci di S. Nicola ottenevano prima temporaneamente, poi definitivamente il permesso di abbandonare il monastero, il paese continuava ad ingrandirsi verso sud, attorno alla Chiesa che, nel 1601 divenne parrocchia, svincolandosi da Mompilieri. I " fuochi " cioè le famiglie residenti aumentavano e ciò faceva sperare anche in uno sfruttamento agricolo più ampio nel territorio; invece le eruzioni, le carestie e le pestilenze che si susseguirono, ridussero le risorse del nostro piccolo centro, riportando alla luce una vecchia piaga, quella del brigantaggio, retaggio delle misere condizioni economiche di un tempo. Un nuovo e violento arresto nella crescita venne nel 1633, quando dopo un violento terremoto fu la volta di una nuova e terribile eruzione che distrusse case e provocò vittime.

(Nel manoscritto del nostro concittadino Sac. VINCENZO MAGRI', cappellano maggiore della Chiesa Madre, che scrisse la storia degli avvenimenti del 1669,ripresa dal Recupero nella sua "Storia Generale dell'Etna", possiamo leggere : - Al 21 febbraio, (1633) alla mezzanotte di giovedì e venerdì, venne un terribilissimo terremoto in Nicolosi, che atterrò la maggior parte delle case nella Contrada del Piano, assieme con la Chiesa della Madonna dell'Idria; e sotto le pietre morirono 17 persone piccole e grandi e molte ne furono uscite vive dalle atterrate case. - ) Questa situazione di disagio spiega il mancato sviluppo in tali anni e l'esiguità numerica degli abitanti che, nel 1653 ammontavano a soli 515. A dare il colpo definitivo giunse poi la più terribile, forse, delle eruzioni storiche dell'Etna,quella del 1669 che raggiunse Catania.

Le Vicende dal 1669 al 1766

 

La quantità di sabbie buttate durante l'eruzione del 1669 fu tale da sommergere Nicolosi, Pedara e Trecastagni mentre la lava distrusse Malpasso, S. Pietro, Campo rotondo, Mompilieri e San Giovanni Galermo giungendo a Catania, al mare e circondando Castel Ursino. L'eruzione che cessò l'11 luglio creò presso Nicolosi i Monti Rossi, il più grande dei coni laterali etnei .

(I MONTI ROSSI chiamati cosi' per il colore dei detriti che li formano. Inizialmente furono denominati "Monti Ruina"; accanto ad essi, per effetto della stessa eruzione si creò una grotta di scorrimento lavico, denominata "grotta delle Palumbe" da Mario Gemmellaro che la scopri' nel 1823. )

I Nicolositi dopo essere stati lontani per quattro mesi dal loro paese furono costretti ad abitare una nuova città con gli altrettanto sfortunati abitanti di Malpasso e Mompilieri, cioè Fenicia Moncada per volontà del Principe di Paternò.

Essi non accettarono di buon grado il trasferimento dalla "montagna " ad una zona paludosa e benché fosse loro vietato, di tanto in tanto ritornavano a Nicolosi per dissotterrare le case dalla cenere e dalla sabbia. La ribellione fu punito bruciando quanto già riportato in luce, ma non desistettero dal loro proposito di ritornare al paese e riedificare le case e le vigne.

Il sacerdote Magri' riferisce: "Sebbene infermo, mi portai a rivedere l'antico nido! Come giunsi piansero quei miei paesani di contento, pregando di assisterli presso il Principe per ottenere il desiato permesso di rifabbricare senza timore" E la risposta positiva, infine venne, il 4 agosto 1671: "Con la mia venuta quando le fabbriche saranno almeno duecento, allora sarà il caso farci stabilire i sacramenti per sempre ed anche creerò gli uffici per governarvi; trovando però i Nicolosi in minor numero, sarò forzato disfare il tutto".

Si incominciò a rifabbricare il paese; fu rapidamente sistemata la Chiesetta della Madonna delle Grazie, l'unica a non aver subito danni, e qui furono portati i Sacramenti della Chiesa Matrice(sotto il titolo dello Spirito Santo) della quale erano rimasti in piedi pochi muri, il 18 agosto 1671. NICOLOSI venne ricostruito tenendo conto dell'aspetto che aveva prima del 1669 conservando la fisionomia dell'abitato precedente. Le case sorsero lungo la strada che collegava a est con Pedara ed a ovest con Malpasso ricostruito Belpasso. Sia la Chiesa Madre che quella delle Anime del Purgatorio furono ricostruite nello stesso luogo e con parte del materiale precedente, mentre alla prima metà del 700 risale la costruzione della Chiesa di S. Maria delle Grazie, di quella della Madonna del Carmelo nonché di quella di San Giuseppe. La popolazione era sempre in aumento ed il paese si ingrandiva verso ovest, nella zona chiamata " a sciara " oltre il Piano delle Forche, così chiamato perché vi si eseguivano le impiccagioni Oltre la via che univa Nicolosi a Belpasso (ovest) e Pedara (est) il paese si collegava con Mascalucia dalla Via del Carmine e con Mompilieri da Via Abate Longo. Questa via partiva dall'odierna Piazza della Vittoria, un tempo denominata Piazza della Forca; qui fino alla metà del 700 finiva il paese, proprio perché le esecuzioni dovevano avvenire ad una distanza precauzionale dall'abitato. mentre ad est terminava alla Cappella della Anime del Purgatorio. Le uniche fonti di reddito rimanevano la pastorizia e l'agricoltura. Anche nella seconda metà del XVIII sec. l'Etna minacciò da vicino il paese e l'abitato fu seriamente in pericolo con l'eruzione del 1766.